Come Migliorare la Qualità e l’ Efficienza della Progettazione Edilizia
04/10/2009 | Filled under Archivio primo piano, Articoli Rivista ACER "Costruttori Romani", Uncategorized |
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La rappresentazione e la gestione della conoscenza tecnica sono lo strumento essenziale per consentire la collaborazione tra specialisti nella progettazione edilizia multidisciplnare.
Progettare oggi un edificio è diventato un problema ben più complesso di quando gli attuali quarantenni hanno iniziato la professione di architetto o di ingegnere. Molte sono le ragioni, tecniche e procedurali, di tale trasformazione, legate in primis sia alla accresciuta complessità del processo edilizio nel suo insieme, sia a quella del prodotto finale in rapporto alle accresciute aspettative della committenza e dell’utenza.
Sono oggi ineludibili gli aspetti progettuali legati alla sostenibilità dei materiali, al contenimento energetico nell’uso in rapporto all’impiego di fonti energetiche rinnovabili, al comfort igrotermico invernale ed estivo, al comfort acustico interno ed esterno, all’illuminamento naturale ed artificiale, alla sicurezza nella costruzione, alla prevenzione incendi, alla sicurezza nell’uso, solo per citarne alcuni dei principali, tradotti in adempimenti normativi nazionali e/o locali cogenti, spesso farraginosi e tra loro incoerenti anche concettualmente.
Altrettanto complessificata è stata la legislazione dei lavori, che non solo nell’ultimo quindicennio è stata modificata, anche sostanzialmente, almeno quattro volte, ma ha introdotto per la progettazione (oltre che per l’appalto e la gestione dei lavori) specificazioni complesse e onerose, non sempre chiare, variabili in rapporto alle forme di processo via via introdotte, modificate, soppresse, reintrodotte e così via.
Alle trasformazioni per così dire “interne” del settore si aggiunge una importante innovazione tecnologica avvenuta nel medesimo periodo come risultato della evoluzione e specializzazione dell’industria manifatturiera per l’edilizia (si pensi alla vasta gamma delle tecnologie di involucro), la cui penetrazione sul mercato è stata accompagnata dalla esplosione incontrollata dell’informazione tecnica, difficilmente verificabile, veicolata dalla diffusione dell’informatica e dell’internet.
Lo sviluppo dell’informatica ha avuto a sua volta un impatto fondamentale sugli strumenti per la progettazione, consistente nella produzione sempre più copiosa e complessa di programmi di calcolo, di grafica, di simulazione e di verifica che hanno rivoluzionato in modo irreversibile le modalità di lavoro di ogni struttura di progettazione, creando nuovi profili professionali e facendone scomparire altri, ma soprattutto dividendo sempre più le competenze dei professionisti.
L’insieme di tutti gli aspetti qui sommariamente indicati ha necessariamente comportato la specializzazione delle figure professionali, ben più diversificate rispetto al recente passato e sempre più caratterizzate da quella che gli esperti chiamano simmetria dell’ignoranza: sapere sempre più di un campo sempre più ristretto significa estendere di riflesso la propria ignoranza a tutto ciò che è esterno ad esso.
Parallelamente, in questo periodo caratterizzato dalla innovazione tecnologica e dalla pretesa ricerca di un prodotto finale più “sistemico” si deve purtroppo constatare spesso un decadimento della qualità complessiva del rapporto prodotto/processo: il progetto risulta sovente “squilibrato” nei confronti di aspetti considerati prioritari per motivi normativi, economici o tecnologici; ovvero incongruente nelle relazioni tra le diverse componenti, architettoniche, strutturali, impiantistiche etc. presentando errori di progettazione non tanto all’interno delle professionalità specifiche quanto nei rapporti tra queste; o, infine, nel migliore dei casi, presentando costi e tempi di progettazione a consuntivo ben maggiori di quelli previsti nel programma iniziale.
La causa principale di questi problemi risiede fondamentalmente nella difficoltà di collaborazione tra i diversi attori del processo progettuale, effetto della frammentazione dei ruoli e della spinta specializzazione: questa infatti richiede un numero sempre maggiore di soggetti nel team di progettazione, che poco (talvolta nulla) conoscono delle problematiche degli altri operatori. In un passato anche non lontano questi problemi venivano superati negli incontri diretti, attorno al tavolo, con spiegazioni, discussioni ed accordi. Oggi ciò spesso non è più possibile per varie cause, tra cui la delocalizzazione dei soggetti, che fa sì che essi comunichino (si fa per dire) solo via internet, e l’uso di software specialistici per la modellazione (in genere predefinita) dei vari aspetti della progettazione, che richiedono da parte di ciascun attore la riconversione dei dati degli altri attori troppo spesso con disguidi ed errori non irrilevanti di interpretazione.
La progettazione avviene così per successivi trasferimenti di elaborati specialistici da un soggetto all’altro senza una adeguata interazione basata sulla reciproca comprensione delle proposte (parziali) di ognuno: in altri termini troppo spesso il progetto nasce per addizioni successive di competenze, anziché per un processo di successive sintesi convergenti, a causa della mancanza di collaborazione.
L’informatica, divenuta strumento indispensabile e insostituibile, è oggi paradossalmente un ostacolo ad una vera collaborazione che, per essere efficace, richiede la reciproca comprensione tra tutti gli attori del processo.
Perché questa sia possibile è necessario che ogni attore operi una traduzione delle informazioni della propria proposta progettuale in un linguaggio comune a tutti gli attori del processo e ne attui una corretta trasmissione perché a sua volta ogni altro attore possa effettuarne una corretta interpretazione, e così via, realizzando quella piena comprensione che consente a ciascuno di elaborare le proprie proposte di soluzione progettuale interagendo on-line con gli altri nella formulazione della soluzione complessiva, in un processo di progettazione collaborativa (collaborative design).
Tutti i settori innovativi, di maggiore complessità progettuale si sono dotati, o si stanno dotando, di strumenti di collaborative design, di volta in volta costruiti per le specifiche esigenze del campo: lo hanno fatto da tempo l’industria aeronautica, l’industria spaziale o l’industria delle telecomunicazioni, al punto che non sarebbe oggi, non dico realizzabile, ma nemmeno concepibile una progettazione “tradizionale”.
L’edilizia, pur essendo il primo settore industriale al mondo per numero di addetti (dopo l’agricoltura), rimane tuttavia ancorata ad un processo progettuale inadeguato alle necessità imposte dalla crescita tecnologica, che comporta errori, allungamento dei tempi, incremento dei costi oltre i limiti considerati accettabili per gli altri settori industriali.
Se il problema della collaborazione progettuale in edilizia si incentra nella difficoltà di una corretta interpretazione e comprensione delle proposte progettuali dei vari attori specialisti da parte degli altri, una possibile soluzione consiste nel garantire la reciproca comprensione attraverso la formalizzazione delle “conoscenze” specialistiche dei vari attori in modo tale che sia possibile relazionarle tra loro per tramite di una “conoscenza comune” mediante adeguati strumenti di gestione. Infatti ogni soluzione progettuale di ciascuno specialista è frutto delle proprie conoscenze tecniche, acquisite attraverso la propria formazione tecnica, presenti nei testi e nei manuali di consultazione, espresse nei programmi software che impiega nella progettazione. Conoscenze in larga misura non formali, consistenti in concetti, ragionamenti, esperienze, proprie di un determinato dominio scientifico-culturale e pertanto non direttamente accessibili agli altri attori. La formalizzazione delle conoscenze specialistiche consente invece di superare gli steccati disciplinari-culturali relazionandole direttamente attraverso una conoscenza di base, comune a tutti, anch’essa formalizzata.
L’informatica, che oggi ostacola quella collaborazione che abbiamo visto essere il cardine della crescita qualitativa del processo progettuale, può essere oggi lo strumento essenziale per risolvere questi problemi: al di là delle basi di dati e dei programmi di calcolo, note anche ai non addetti ai lavori, ci viene in aiuto quella parte della disciplina chiamata “ingegneria della conoscenza” o “knowledge engineering” che nasce dall’intelligenza artificiale.
La formalizzazione della conoscenza è resa oggi possibile da queste tecniche logico-informatiche; tuttavia per essere di pratico uso il prodotto di queste elaborazioni non deve costituire un sovraccarico di lavoro per i progettisti, o, peggio, costringerli ad usare strumenti diversi da quelli cui sono abituati. La tecnica deve essere piegata a “scomparire” agli occhi dei progettisti, che non dovrebbero neppure accorgersi di lavorare con strumenti nuovi, ma solo essere coscienti di essere immersi in un “ambiente” così evoluto da consentire loro di interagire in continuo con le azioni progettuali di altri specialisti comprendendo pienamente gli effetti delle azioni di quelli sulle proprie soluzioni progettuali.
Alcuni gruppi di ricerca stanno attualmente affrontando la risoluzione delle problematiche descritte:si segnalano in particolare alcune prestigiose sedi universitarie negli USA, in Gran Bretagna, in Olanda, in Australia. In Italia presso il dipartimento DAU de La Sapienza a Roma è attivo da molti anni un gruppo di ricercatori che, in collaborazione con l’università di California a Berkeley, sta elaborando un ambiente di progettazione collaborativa basato sui principi qui esposti. L’ambiente è costituito da una piattaforma software, comune a tutti gli attori del team di progettazione interdisciplinare, che si interpone tra il progettista e i programmi di calcolo o di grafica usati, e che consente ad ogni attore di definire il significato, le proprietà, e le regole di ogni entità che egli elabora nel corso del processo progettuale, ad ogni livello di complessità e di generalità, costituendo in questo modo la struttura della propria conoscenza specialistica.
Ogni entità viene direttamente tradotta e rappresentata in un linguaggio comune a tutti gli attori, i quali sono così in condizioni di interpretare correttamente e quindi comprendere il significato delle azioni degli altri operatori sullo stesso progetto. Attraverso la verifica della “sovrapposizione” delle soluzioni progettuali che via via vengono interattivamente elaborate dai vari specialisti in un processo divenuto realmente collaborativo, l’ambiente consente di verificare la corrispondenza e la congruità di ciascuna entità presente nel progetto tra le diverse rappresentazioni dei vari progettisti nei propri spazi di lavoro, potendo in tal modo individuare e segnalare automaticamente gli errori interni a ciascuna soluzione specialistica e le incongruenze tra le varie soluzioni.
Ad una complessità intrinseca dell’ambiente nella sua concezione e costruzione corrisponde una estrema semplicità nell’uso da parte degli utenti progettisti nelle diverse competenze specialistiche.
Un ambiente così concepito e definito consente a diversi progettisti con competenze disciplinari anche molto diverse tra loro di interagire in forma collaborativa, con numerosi vantaggi:
nell’ambito di una progettazione di “routine”, consentendo di evidenziare automaticamente incongruenze ed errori, riduce i tempi di verifica e di correzione, con un corrispondente risparmio di costi di progettazione; in una progettazione “creativa” consente ai diversi attori specialisti di fornire una propria proposta di soluzione in ogni momento di ogni fase del progetto, anziché al momento del proprio “turno”, favorendo la nascita di soluzioni innovative proprio dal potenziale contributo “inaspettato” di ciascuno; in questo caso l’ambiente funge da incubatore di creatività.
Al momento, dell’ambiente è stata definita e validata in confronti internazionali la struttura concettuale e sono state fatte alcune implementazioni prototipali di base. Sono allo stato attuale in corso di sviluppo alcune basi di conoscenza specialistiche (architettura, strutture, energetica) su un ambito di studio limitato alla degenza ospedaliera. In rapporto alle possibili fonti di finanziamento (si confida anche in un progetto europeo) le prime applicazioni professionali, non più quindi solo dimostrative, potranno essere disponibili nel giro di un paio di anni.
di Gianfranco Carrara Consigliere della Fondazione Almagià
Dipartimento di Ingegneria dell’Università La Sapienza di Roma
da Costruttori Romani, n. 11-12 novembre-dicembre 2009 CR_11_12_09